mercoledì 20 agosto 2014

-logia; -logi ed altre amenità.

Ebbene, sento proprio l'esigenza di lasciare una traccia sensibile di una certa serie di riflessioni intorno alla psicologia, alle psicologie ed agli psicologi. Studiare l'antropologia dal punto di vista psicologico ha il suo fascino, tuttavia, anche il contrario arreca un certo piacere intellettuale. Spesso, nel nostro tempo intriso di pan-spiritualismi, sento (op)porre con forza un'idea di fondo che cerca di smontare la tesi psicologica secondo la quale sarebbe il cervello l'organo pensante per eccellenza, e di conseguenza la sede della mente, e di conseguenza, per estensione (estensione che richiede una dose di elasticità di cui credo in pochi si è consapevoli, e comprendo me medesima nell'appunto) sede dell'"anima". Pongo qui una domanda, intesa come un sentito sondaggio, in quanto non mi posso capacitare di una generalizzazione così seccante, terra terra: ma davvero tutti coloro che hanno studiato le basi anatomofisiologiche dell'attività psichica hanno maturato questa posizione riduzionista?*

Sarò pignola io, ma ricordo le tante ore spese a cercare di comprendere processi complessi nei quali i protagonisti del mio teatro "studiorum" appartenevano al popolo degli endocrini, a quello delle chimiche, a quello delle morfologie ed a quello dell'elettricità. Oh sì, mi ricordo anche di una serie di interessanti digressioni, fra concetti come ritmo, coscienza, automaticità, ereditarietà, innatismo, apprendimento. E la citologia, pure quella una regione dalla geografia piuttosto ricca...

Mai mi è balenato per la mente, o per il cervello, ma nemmeno mi è maturata nel cuore o nello stomaco, la convinzione che simili complessità siano meccanicisticamente spiegabili, se non altro perchè, a tutt'oggi non esiste una sola teoria in grado di abbracciare e giustificare  la mole di dati sperimentali e/o di risultati derivanti da osservazioni empiriche e fenomenologiche di cui si dispone riguardo l'attività psichica. Per non parlare dell'assoluta inefficienza del paradigma "causa-effetto" per riorganizzare le idee... In ultima istanza ecco la solita, prevedibile sorpresa, l'ossimoro per eccellenza: non siamo in grado, a dispetto di qualunque teoria della mente frutto del passe par tout "io penso che tu pensi che io penso" di anticipare (correttamente) il Pensiero (sul comportamento ho qualche riserva, vedi post precedente) di un altro individuo. Il che mi ha sempre portato a credere che a tenere insieme, in un equilibrio a volte un tantino precario, lo ammetto, un siffatto organismo (ebbene sì, non solo di cervello stiamo parlando) sia un fascinoso, noumenico mistero, lo stesso che alimenta una certa voglia di conoscere, di ri-velare. Di appassionarci, anche...


Per tornare alle corrispondenze e complementarietà del primo capoverso, ecco, mi piacerebbe capire la genesi di qualcosa che a me pare un equivoco, se considerato al livello generale del corpus teoretico della psicologia (ammettendo che ne esista una sola). Senz'altro alcune correnti, scuole od autori, esprimono e dichiarano assiomaticamente riduzionismo biologico e materialismo spinto nelle loro elaborazioni teoriche. Ma ve ne sono altri che levano cori di matrice ben differente, puntando, per ovvie ragioni, un po' meno sugli assiomi.  E c'è un tertium imprescindibile in questo "dialogo perpetuo" fra retoriche figure di opposta fazione: la pratica del vivere. Teorie a parte, certe domande ce le poniamo tutti. Imporre una risposta su tutte le altre possibili, magari  con la scusa che si è in grado di sapere cosa è giusto o cosa è bene, questo sì, è l'unica cosa che in questa baraonda non mi piace. Quest'ultima, per la precisione, è la "modalità maestro", sindrome che affligge potenzialmente chiunque si senta sicuro solo in seno ad una teoria di riferiento, ovvero un frame, ovvero un alveo.  Qualcuno che indossa una veste, un abito: mentale, talare, sociale, professionale. Ma un Vero Maestro non si presenta mai come tale... semmai è l'allievo che lo riconosce.

* concedetemi il dubbio: sarà che in molti una posizione non l'hanno proprio maturata perchè la questione, epistemologicamente, per i più non ha senso? in tal caso, ci vorrebbe un altro sondaggio.

venerdì 7 marzo 2014

addestrare all’emancipazione le fanciulle pericolanti

Avete mai sentito usare da qualche parlante italiano la forma “Asilo Mariuccia” per descrivere un contesto di interazione umana o gruppo sociale come immaturo e governato da dinamiche infantili?

Autobiograficamente parlando io sì e diverse volte. Riflettevo su questo strano caso. L’Asilo Mariuccia fu fondato nei primi anni del 900 per volontà di una donna, descritta storicamente come emancipata, e nacque con uno scopo ben preciso: ovvero fornire asilo a giovani ragazze, soprattutto minori, che per ragioni socioculturali erano esposte al rischio di cadere nel giro della prostituzione con esplicito riferimento al pericolo rappresentato dalla Tratta delle bianche. Questa istituzione filantropica, di impostazione laica, accoglieva senza distinzione di nazionalità o religione qualunque giovane donna esposta all’influenza di contesti “moralmente malsani” offrendo un aiuto immediato e concreto, quindi, presumibilmente, per qualcuna anche la salvezza nel senso più pratico del termine. Come un segugio sulle tracce dell’origine di una così evidente sostituzione semantica, non posso che far fruttare un antico amore di scienza e ragionare nei termini della linguistica cognitiva. Disciplina interessante, ma ancor più interessanti sono gli esiti delle osservazioni  condotte da alcuni suoi esponenti che ne praticano gli ardui territori e che hanno analizzato il ruolo delle metafore concettuali nella comunicazione di massa. Secondo Geroge Lakoff la metafora è una struttura linguistica che consente a noi esseri umani di comprendere un dominio concettuale sulla base di un altro dominio concettuale. “Le mie emozioni scorrono come un fiume in piena” concettualmente, sta per: inarginabili, intense, inarrestabili, travolgenti. Nel linguaggio comune  la parafrasi intermedia che ho appena esplicitato non serve: chiunque a partire da una frase come quella è in grado di evocare una serie di dati concreti sullo stato psicofisico del parlante. Il fatto che le metafore indirizzino i nostri pensieri, fornendo ed evocando precisi schemi di riferimento, ha ovviamente conseguenze molto positive: diventa più facile comprendere, figurarsi le situazioni, immedesimarsi. Tuttavia, proprio perché i mezzi di comunicazione di massa hanno la caratteristica di funzionare con messaggi pronunciati da “uno” e rivolti a “molti” senza la possibilità di replica immediata e quindi senza l'equo paracadute della sana dialettica, capita che l’uso di metafore venga, più o meno coscientemente, utilizzato  per creare un tappeto condiviso di credenze e riferimenti sociali. Per esempio, sempre secondo il George autore di Metafore e Vita quotidiana, Moral Politics e di molti altri scritti decisamente intensi per livello di analisi e di umano calore, le metafore concettuali presenti nelle menti dei conservatori e in quelle dei progressisti americani differiscono non solo per i valori di riferimento, ma anche per il grado di consapevolezza con cui questi valori vengono evocati  nell’argomentazione di scelte ed indirizzi politici. Questa chiave di lettura, chissà perché, mi stimola. Non tanto per rivitalizzare la contrapposizione fra destre e sinistre, ma per smorzare qualunque contrapposizione, per affievolire la forza di qualunque opinione enunciata con forme verbali, e quindi di pensiero, un poco affrettate, poco più complesse del classico “modo di dire”. Fa riflettere che una esperienza come quella dell’Asilo Mariuccia, con pro e contro, limiti e pregi, venga ricordata la maggior parte delle volte per riferirsi a cose di poco conto. Soprattutto in un momento in cui si parla tanto della condizione femminile, della parità di genere, della parità di diritti. Evitare le conseguenze dell'applicazione di luoghi comuni è un diritto di tutti. Di certo ciò che della vita conoscevano le ospiti dell'Asilo Mariuccia non è scritto sui libri che le ragazze di buona famiglia avrebbero dovuto tenere sul comodino secondo i dettami di una società afflitta dalla doppia morale. Ma di sicuro non trattavasi di corbellerie.

sabato 22 febbraio 2014

benvenuto... (o della netiquette)




Gentile internauta,
un breve benvenuto in questo pubblico spazio web. AntroArte. Antropologia&Arte. Qui desidero condividere pensieri, notizie, considerazioni e idee su una grande Opera della Natura, l’essere umano, e sulle qualità creative che lo distinguono e lo rendono capace di generare a sua volta: sia  biologicamente che su piani differenti, piani o livelli di cui la corporeità è uno dei molti aspetti. L’essere umano custodisce numerose qualità, classificate nel corso del tempo e della storia del pensiero in varie guise. Le più alte espressioni di tali qualità, in ogni campo, vengono attuate attraverso un processo artistico in cui intuizione, immaginazione, sentimento,  pensiero, volontà, contribuiscono all’atto creativo, originale, unico, in grado di trasmettere ad un testimone conspecifico più della semplice conoscenza di un fatto o della semplice rappresentazione della realtà. La scintilla che misteriosamente anima un movimento interiore, a volte di intensità inspiegabilmente alta, di fronte ad una azione compiuta con arte è un ingrediente di questa realtà che merita di essere citato, quasi celebrato…
Penso ad esempio a Paul Dirac, uno dei padri della fisica quantistica, e alla sua ferma convinzione  del fatto che “una teoria includente una bellezza matematica ha più probabilità di essere giusta e corretta di una (teoria) sgradevole che venga confermata dai dati sperimentali”. Nel 1933 Dirac condivise con il pubblico  la rituale Lecture che i premi Nobel sono invitati a tenere, intitolata “Theory of electrons and positrons”. In molti passaggi cita ed invoca la sua fiducia nella simmetria per giustificare l’indirizzo di indagine della sua produzione scientifica. Ebbene: la simmetria.  Quale coro di voci possiamo far levare dalle radici della cultura in ogni dominio della produzione umana, in cui la simmetria rappresenta una delle chiavi dell’armonia? La ricerca del senso antropologico che questi archetipi conservano immutato dalle e alle origini della conoscenza, porta sui sentieri della riscoperta di una matrice solida ma flessibile, unica ma adattabile. A presto e grazie per esserti fermato qui.